sabato 13 dicembre 2014

MAURIZIO ABBATINO "Crispino"


La vera storia del "Freddo"


Le prime batterie

Nato a Roma, (il 19 luglio 1954) e cresciuto in una stradina della Magliana Vecchia, Abbatino frequentò le scuole medie a Palestrina (comune della provincia di Roma) vivendo presso la nonna paterna. Detto Crispino, per via dei suoi capelli ricciuti e neri, il curriculum criminale di Maurizio inizia ben presto da quando, cioè, inizia a mettere a segno rapine da solo o, in alcuni casi, assieme ad un gruppo di malavitosi della Magliana e del Portuense che, più tardi, coinvolgerà nel progetto criminale della banda della Magliana.
« Negli anni settanta, nella zona dell'Alberone si riunivano varie "batterie" di rapinatori, provenienti anche dal Testaccio. Ne facevano parte, oltre ad alcune persone che non ricordo, Maurizio Massaria, detto "rospetto", Alfredo De Simone, detto "il secco", i tre "ciccioni", cioè Ettore Maragnoli, Pietro "il pupo", e mi sembra Luciano Gasperini - questi tre, persone particolarmente riconoscibili per la mole corporea, svolgevano più che altro il ruolo di basisti e di ricettatori - Angelo De Angelis, detto "il catena", Massimino De Angelis, Enrico De Pedis, Raffaele Pernasetti, Mariano Castellani, Alessandro D'Ortenzi e Luigi Caracciolo, detto "gigione". Tutti costoro affidavano le armi a Franco Giuseppucci, chiamato allora "il fornaretto", ancora incensurato e che godeva della fiducia di tutti. Questi le custodiva all'interno di una roulotte di sua proprietà che teneva parcheggiata al Gianicolo. All'epoca frequentavo l'ambiente dei rapinatori della Magliana, del Trullo e del Portuense. Nel corso del tempo si erano cementati i rapporti tra me, Giovanni Piconi, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro ed Emilio Castelletti, ma non costituivamo quella che in gergo viene chiamata "batteria", cioè un nucleo legato da vincoli di esclusivita' e solidarieta', in altre parole non ci eravamo ancora imposti l'obbligo di operare esclusivamente tra noi, ne' di ripartire i proventi delle operazioni con chi non vi avesse partecipato. In particolare, negli anni precedenti il 1978, ognuna delle suddette persone operava o da sola ovvero aggregata in gruppi più piccoli o diversi. »
(Maurizio Abbatino)
Nel 1972 iniziano i suoi problemi con la giustizia, viene infatti arrestato per prima volta per furto, resistenza a pubblico ufficiale e possesso di arnesi atti allo scasso. Due anni dopo il secondo arresto, stavolta per duplice omicidio. Al processo che ne segue verrà però assolto per insufficienza di prove ed immediatamente rilasciato.


La banda della Magliana

Il suo casuale incontro con Franco Giuseppucci, altro futuro boss della Banda, avviene per la restituzione di una borsa contenente armi appartenute al Fornaretto e incautamente sottratta, da alcuni malavitosi legati al suo giro. Dopo accurate ricerche, Giuseppucci viene infatti a sapere che le armi sono finite nelle mani di una batteria del quartiere San Paolo.

« Era accaduto che Giovanni Tigani, la cui attivita' era quella di scippatore, si era impossessato di un'auto Vw "maggiolone" cabrio, a bordo nella quale Franco Giuseppucci custodiva un "borsone" di armi appartenenti ad Enrico De Pedis. Il Giuseppucci aveva lasciato l'auto, con le chiavi inserite, davanti al cinema "Vittoria", mentre consumava qualcosa al bar. Il Tigani, ignaro di chi fosse il proprietario dell'auto e di cosa essa contenesse, se ne era impossessato. Accortosi però delle armi, si era recato al Trullo e, incontrato qui Emilio Castelletti che gia' conosceva, gliele aveva vendute, mi sembra per un paio di milioni di lire. L'epoca di questo fatto è di poco successiva ad una scarcerazione di Emilio Castelletti in precedenza detenuto. Franco Giuseppucci, non perse tempo e si mise immediatamente alla ricerca dell'auto e soprattutto delle armi che vi erano custodite e lo stesso giorno, non so se informato proprio dal Tigani, venne a reclamare le armi stesse. Fu questa l'occasione nella quale conoscemmo Franco Giuseppucci il quale si uni' a noi che gia' conoscevamo Enrico De Pedis cui egli faceva capo, che fece sì che ci si aggregasse con lo stesso. La "batteria" si costituì tra noi quando ci unimmo, nelle circostanze ora riferite, con Franco Giuseppucci. Di qui ci imponemmo gli obblighi di esclusivita' e di solidarieta' »
(Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 13/12/1992)

Dall'incontro tra i due nasce quindi l'idea di unire le forze in campo e, quella che in un primo tempo era nata come una semplice "batteria" si trasformò in "banda" criminale che, da semplice associazione di rapinatori, divenne in una vera e propria organizzazione per il controllo della criminalità romana e che, da li a poco, verrà conosciuta come banda della Magliana.

Primo crimine della Banda a cui Abbatino partecipa in prima persona è il sequestro del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere che però, per l'inesperienza nel campo, non riescono a gestire al meglio e devono chiedere aiuto ad un altro gruppo criminale, una piccola banda di Montespaccato.
 Il sequestro finirà nel sangue: uno dei componenti di Montespaccato si fa vedere in faccia dal duca che per questo, infatti, verrà ucciso. Crispino e compagni riescono comunque ad incassare il riscatto di due miliardi da reinvestire (invece che dividere tra i componenti) in nuove attività criminali.



Abbatino parteciperà poi all'omicidio di Franco Nicolini, detto Franchino Er criminale, all'epoca padrone assoluto di tutte le scommesse clandestine dell'ippodromo di Tor di Valle e le cui attività illegali suscitarono ben presto l'interesse della nascente Banda. Il 25 luglio 1978, nel parcheggio dell’ippodromo, l'uomo viene avvicinato da un gruppo di sette persone che lo freddano all’istante con nove colpi di pistola: a sparare saranno Giovanni Piconi ed Edoardo Toscano.
L’eliminazione di Nicolini è un passo da gigante per la Banda che, da ora in poi, ha via libera per poter gestire una gigantesca fonte di guadagno.
Dalle degradate periferie romane Crispino e compagni, che erano arrivati a dividersi i quartieri della città con una rigida compartimentazione, presero man mano il controllo di tutti i traffici illeciti della capitale: scommesse clandestine, toto nero, il mondo dell'usura, la droga, il traffico di armi e la ricettazione.
Oltre a questo vennero allacciati canali preferenziali con le altre organizzazioni criminose dell'epoca come Cosa Nostra, la camorra e il terrorismo nero."

« Avevamo a disposizione quasi tutti gli avvocati di Roma, medici, dottori, perché no, anche qualche politico. C´è stato un periodo in cui entravamo con le macchine al servizio dello Stato, entravamo sotto al tribunale, scaricavamo pellicce, oggetti d´antiquariato, avevamo un contratto con un capo cancelliere che ci diceva che quei giudici erano corrotti...i processi prendevano la direzione che volevamo noi »
(Intervista a Maurizio Abbatino)
Abbatino divenne uno dei capi riconosciuti della Banda e, tra le altre cose, si occupava personalmente della vendita dello stupefacente nel territorio di Trastevere per cui aveva imposto una sorta di monopolio attraverso il quale controllava l'approvvigionamento e lo smercio dell'eroina che veniva importata per la maggior parte dalla Thailandia mentre, talvolta, quando vi erano difficoltà per le forniture, faceva ricorso al rifornimento da parte dei siciliani.
Un forte momento di aggregazione della Banda e che vide Crispino in prima linea fu la vendetta che seguì nei confronti del clan dei Proietti accusati dell'omicidio di Franco Giuseppucci, altro boss della Magliana e a cui Abbatino era legato da un forte sentimento amicale.



Il pentimento

« Si parla molto della banda ancora oggi, quando all’epoca c’erano altre organizzazioni come ON o la P2 che ora sembra che stanno nel dimenticatoio. Sembra che la banda della Magliana sia diventata una discarica per tutto quello che non si riesce o non si vuole capire »
(Maurizio Abbatino)



L'arresto di Maurizio Abbatino

Una volta arrestato, sopravvissuto alla sanguinosa faida scaturita dopo la divisione della Banda tra il gruppo dei Testaccini e quello della Magliana, grazie a false perizie di compiacenti medici del carcere di Rebibbia, il 20 dicembre 1986, Abbatino si fa ricoverare nella clinica Villa Gina (all'EUR) con una diagnosi di un tumore osseo in metastasi progressiva che, almeno secondo i referti, gli concederebbe pochi giorni di vita. Giunto in clinica su una barella, quasi un'ora dopo, approfittando di un momento di distrazione da parte della sicurezza e con l'aiuto di un paio di complici dall'esterno, Crispino riesce a calarsi giù dalla grondaia e fuggire da una finestra del secondo piano, scomparendo nel nulla.


Gli uomini della Squadra Mobile romana e della Criminalpol, che per anni gli daranno la caccia per dare seguito a cinque fra ordini e mandati di cattura per una sfilza di reati tra cui nove omicidi, traffico internazionale di droga e associazione a delinquere, a fine 1991 lo individuano in Venezuela, grazie anche ad una sua telefonata alla madre intercettata la sera di capodanno. Un mese più tardi, il 24 gennaio 1992, lo arrestano di nuovo a Caracas all'uscita di un locale notturno. Avviate le pratiche per il trasferimento del boss in patria, il 4 ottobre di quell'anno Abbatino fu espulso dal Venezuela, preso in consegna dagli uomini della Squadra Mobile e riportato in Italia.






Sin dai giorni immediatamente successivi al suo arresto, in territorio venezuelano, Abbatino manifestò propositi di collaborazione agli stessi ufficiali della Polizia Giudiziaria italiana. Al suo rientro, all'aeroporto di Fiumicino, infatti c'è già un grosso spiegamento di forze dell'ordine, giornalisti, fotografi e telecamere ad attenderlo visto che, la notizia del suo pentimento, ha raggiunto l'Italia prima dell'arrivo del suo volo.
Grazie alle sue rivelazioni, il 16 aprile del 1993, scatta a Roma una gigantesca operazione di polizia, denominata Operazione Colosseo, che vede la mobilitazione di 500 agenti della Squadra Mobile, il fermo di 55 persone e decimata la più grande holding criminale che la capitale abbia mai conosciuto.  I verbali riempiti da Crispino consentono quindi di ridisegnare la mappa della criminalità organizzata a Roma e di stabilire con precisione ruoli e responsabilità dei vari fermati. Confessioni che hanno in gran parte confermato quelle precedenti di Fulvio Lucioli e Claudio Sicilia e sono state il punto di partenza di un nuovo maxiprocesso all'intera organizzazione della banda della Magliana.
Nel marzo 2016 gli viene tolta la protezione dallo Stato.
Al 2018 sta scontando una condanna a 30 anni ed è ai domiciliari per motivi di salute.







DOCUMENTI

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