domenica 16 novembre 2014

FRANCESCO COSSIGA





Francesco Cossiga nacque da una famiglia medio-borghese repubblicana e anti-fascista; cugino di terzo grado di Enrico e Giovanni Berlinguer (figli di una cugina della madre di Cossiga). Nonostante egli fosse comunemente chiamato "Cossìga", la pronuncia originaria del cognome è "Còssiga": si tratta d'un casato sardo - di nobiltà di toga, che a suo dire aveva esponenti collegati ad una loggia massonica locale -; il cognome significa "Còrsica", e indica provenienza della famiglia da quell'isola.
A sedici anni si diplomò, in anticipo di tre anni, al Liceo classico «Azuni»; l'anno successivo si iscrisse alla Democrazia Cristiana e tre anni dopo, a soli 19 anni e mezzo, si laureò in giurisprudenza, iniziando una carriera universitaria che gli sarebbe in seguito valsa l'insegnamento della materia di diritto costituzionale regionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Sassari.

Attività politica
Iscritto alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, negli anni universitari ha fatto parte della FUCI con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale.
Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966); suo ministro era Giulio Andreotti.
In questa veste presiedette all'apposizione degli "omissis" sul rapporto Manes, una relazione sull'operato del servizio segreto militare oggetto di esame da parte della commissione ministeriale di inchiesta sul piano Solo, che la Commissione parlamentare sul SIFAR ricevette dal Governo pesantemente censurata "per esigenze di segreto militare"; secondo Lino Jannuzzi, che con Eugenio Scalfari aveva condotto una campagna contro il generale Giovanni De Lorenzo, ideatore del piano, Cossiga stesso gli avrebbe rivelato il suo ruolo nella depurazione del testo di Manes.
Dal novembre 1974 al febbraio 1976 fu ministro della pubblica amministrazione nel Governo Moro IV. Il 12 febbraio 1976, a 48 anni, divenne ministro dell'interno.

Ministro dell'interno
L'11 marzo 1977, nel corso di durissimi scontri tra studenti e forze dell'ordine nella zona universitaria di Bologna venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; alle successive proteste degli studenti, Cossiga, allora titolare del Ministero dell'interno, rispose mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113) nella zona universitaria. A seguito di ciò, visto il clima di violenza e i toni sempre più accesi, in particolare dei soggetti appartenenti all'area extra-parlamentare, Francesco Cossiga diede disposizioni per vietare in tutto il Lazio, fino al successivo 31 maggio, tutte le manifestazioni pubbliche. Nonostante il divieto, grandi gruppi di militanti diedero comunque il via a manifestazioni di protesta, anche a Roma, a seguito della morte per colpi d'arma da fuoco della militante radicale romana Giorgiana Masi sul Ponte Garibaldi. Il nome del ministro venne storpiato dagli studenti: con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste (sowilo, lettera dell'alfabeto runico), in una forma somigliante a Koϟϟiga.
Nel gennaio 1978 Cossiga contribuì alla riforma dei servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007, e sostenne la creazione dei reparti speciali antiterrorismo della Polizia NOCS e dei Carabinieri GIS.



Il caso Moro
Nel marzo 1978, quando fu rapito Aldo Moro dalle Brigate Rosse, creò rapidamente due "comitati di crisi", uno ufficiale e uno ristretto, per la soluzione della crisi.
Molti fra i componenti di entrambi i comitati sarebbero in seguito risultati iscritti alla P2; ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di ingegner Luciani. Tra i membri anche lo psichiatra e criminologo Franco Ferracuti. Cossiga richiese ed ottenne l'intervento di uno specialista statunitense, il professor Steve Pieczenik, il quale partecipò ad una parte dei lavori.
Circa la presunta fuga di notizie per la quale le BR parevano a conoscenza di quanto si discutesse nelle stanze riservate, Pieczenik ebbe ad affermare nel 1994 che aveva via via richiesto di ridurre progressivamente il numero dei partecipanti alle riunioni. Rimasti solo Pieczenik e Cossiga, affermò lo statunitense «la falla non accennò a richiudersi». Cossiga in seguito non smentì, ma parlò di «cattivo gusto».


Non fu mai aperta alcuna trattativa con i sequestratori per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse a Cossiga dicendogli che «esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica».
Cossiga diede le dimissioni da ministro dell'Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Michelangelo Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle [a causa della vitiligine, ndr] è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro». Cossiga, dopo forse questi fatti, cominciò a soffrire di numerosi problemi di salute cronici, come il disturbo bipolare e la sindrome della fatica cronica.



La presidenza del Consiglio dei ministri
Appena un anno dopo, il 4 agosto 1979, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri rimanendo in carica fino all'ottobre del 1980. Nel corso dei due brevi esecutivi guidati da Francesco Cossiga il Parlamento italiano approvò la legge che avrebbe consentito al Governo Craxi nel 1983 di installare gli euromissili a Comiso. Fu la più importante azione di politica estera del presidente Cossiga, decisione che anticipò, in qualche maniera, il sodalizio tra l'Italia e la Germania Occidentale guidata da Helmut Schmidt. Episodio poco noto alla storia delle relazioni internazionali ma di importanza stategica per il futuro dell'Italia.
In veste di Presidente del Consiglio, Cossiga fu proposto dal PCI per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune, con una procedura conclusasi nel 1980 con l'archiviazione. L'accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio.
Cossiga fu sospettato di aver rivelato a un compagno di partito, il senatore Carlo Donat Cattin, che suo figlio Marco era indagato e prossimo all'arresto, essendo coinvolto in episodi di terrorismo, suggerendone l'espatrio.
Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l'accusa, che era stata fatta procedere da parte della magistratura di Torino in seguito alle dichiarazioni del terrorista pentito Roberto Sandalo (Sandalo, soprannominato il "piellino canterino" perché fu uno dei primi pentiti dell'organizzazione terroristica Prima Linea, aveva infatti riferito che in una conversazione con Marco Donat Cattin quest'ultimo gli avrebbe parlato dell'imminenza del suo arresto, appresa da fonti vicine al padre).
Nel denunciare il favoreggiamento personale il PCI guidato da Enrico Berlinguer fu assai deciso nel ritenere che Cossiga fosse la fonte della fuga di notizie sulle indagini sui terroristi. Una possibile spiegazione di tanta certezza è offerta dalla nuova ricostruzione della vicenda offerta in un libro e confermata in un'intervista del 7 settembre 2007 dallo stesso Cossiga ad Aldo Cazzullo del Corriere della sera: Cossiga ha infatti ammesso (vent'anni dopo i fatti con il reato ormai caduto in prescrizione) parte dell'addebito, ma - soprattutto - ha rivelato che lui stesso informò il cugino Berlinguer del fatto, attendendosi comprensione ed ottenendo invece che la notizia venisse utilizzata per una battaglia politica contro di lui.
Dopo un periodo di allontanamento dalla vita pubblica, nel 1983 viene eletto al Senato nel collegio Tempio-Ozieri. Il 12 luglio è eletto Presidente del Senato.


La Presidenza della Repubblica
Nel 1985 divenne l'ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana, l'elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente.
La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi quasi eterogenee. Assai rigoroso nell'osservanza delle forme dettate dalla Costituzione (essendo peraltro docente di diritto costituzionale) fu il classico Presidente notaio nei primi cinque anni di mandato. Unico indizio della sua futura posizione di denuncia delle reticenze del sistema politico fu la sua insistente richiesta di chiarire il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo: ne derivò la nomina della Commissione Paladin.
La caduta del muro di Berlino segnò l'inizio della seconda fase. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale. La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Iniziò quindi una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria e volutamente eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica (fu detto il «grande esternatore»), al solo scopo di dare delle «picconate a questo sistema», che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di mandato l'appellativo di «picconatore».


Rimonta a quest'epoca l'abbandono, da parte sua, di uno dei più antichi tabù della politica democristiana, cioè quello che esorcizzava l'esistenza di illeciti: conformemente alla formazione "tavianea"della sua iniziale carriera politica, egli tenne moltissimo a dimostrare (quasi "pedagogicamente") agli italiani i costi che in termini di legalità avrebbe sostenuto il mantenimento della pace pubblica durante il cinquantennio in cui in Italia vi era il più forte partito comunista d'Occidente. Per converso, la caduta del muro di Berlino - da lui percepita come svolta epocale prima di molti altri statisti italiani, tanto da essere stato l'unico politico romano a presenziare alla prima seduta del Bundestag dopo la riunificazione nel 1990 - fu per lui la vera giustificazione della riduzione dei margini di tolleranza dell'alleato nordamericano verso la classe politica italiana della "Prima Repubblica": si tratta di una tolleranza che lui percepì scemare quando la CIA interferì pesantemente (ed infruttuosamente) nelle vicende politiche delle massime istituzioni italiane, nel 1989, tentando di impedire l'ascesa di Giulio Andreotti a palazzo Chigi, probabilmente a causa della sua politica filoaraba.
Tra le esternazioni del presidente vi erano anche le denunce di un'eccessiva politicizzazione della magistratura, e quella rivolta contro Rosario Livatino, un giovane giudice da lui definito ragazzino, che sarà assassinato dalla mafia nel 1990: «Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre un'indagine complessa come può essere un'indagine sulla mafia o sul traffico della droga. Questa è un'autentica sciocchezza».
Anni dopo, con una lettera ai genitori del giudice, Cossiga smentì che quelle affermazioni dispregiative fossero riferite a Rosario Livatino.
Per il suo mutato atteggiamento, Cossiga ricevette varie critiche e prese di distanza da parte di quasi tutti i partiti, ad eccezione del MSI che si schierò al suo fianco in difesa delle "picconate". Egli tra l'altro sarà ritenuto uno dei primi "sdoganatori" del MSI, al quale rivolse le scuse a nome dello Stato italiano per le accuse che erano state espresse nei suoi confronti all'indomani della strage di Bologna nel 1980.

Gladio
Nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, Cossiga ricevette la delega, come Sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio, sezione italiana della rete Stay Behind, organizzazione segreta dell'Alleanza Atlantica (di cui facevano parte anche Austria e Svezia).
Le asserite responsabilità di Cossiga nei confronti di Gladio furono confermate dal medesimo interessato che, ancora presidente, ammise con fierezza, in un'esternazione a Edimburgo nel 1990, la parte avuta nella sua messa a punto, in quanto sottosegretario al Ministero della Difesa tra il 1966 e il 1969e si autodenunciò con un documento inviato alla Procura di Roma, in seguito alla denuncia dell'ammiraglio Martini e del generale Inzerilli come responsabili di Gladio. Nel documento dichiarò: «Rivendico in pieno la tutela di quarant'anni di politica della Difesa e della sicurezza per la salvaguardia dell'integrità nazionale, dell'indipendenza e della sovranità territoriale del nostro Paese nonché della libertà delle istituzioni, anche al fine di rendere giustizia a coloro che agli ordini del governo legittimo hanno operato per la difesa della Patria». Sono differenti le versioni sui motivi che indussero l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti a divulgare la struttura segreta di Gladio:
Paolo Guzzanti, nel suo libro Cossiga, un uomo solo (Rizzoli, 1991) dedica un capitolo («La fiaba del giudice, del gatto e del primo ministro») alla chiave interpretativa di fonte cossighiana: la richiesta del giudice che indagava sulla strage di Peteano, Felice Casson, di accedere agli archivi del SISMI a Forte Braschi, sarebbe stata inopinatamente accolta dal presidente del consiglio Giulio Andreotti per dare luogo ad un regolamento di conti con il Capo dello Stato, da poco esternatore assai sgradito alla maggioranza DC; lo stesso Cossiga, in una sua autobiografia, La versione di K (Rizzoli, 2009), scrive, riferendosi ad Andreotti: "Mi ha risposto che, ormai caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose. Tanto più, aggiunse, che aveva concesso al pm veneziano Felice Casson (…) il permesso di andare a vedere negli archivi dei Servizi Segreti: a quel punto c'era poco da sperare che non avrebbe ricostruito tutto" (pag. 158).
Vi sono state differenti valutazioni politiche sul suo coinvolgimento nella vicenda di Gladio.
Mentre Cossiga ha dichiarato che sarebbe giusto riconoscere il valore storico dei gladiatori così come era avvenuto per i partigiani, il presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino ebbe a scrivere: «[...] se in sede giudiziaria un'illiceità penale della rete clandestina in sé considerata è stata motivatamente e fondatamente negata, non sono state affatto escluse possibili distorsioni dalle finalità istituzionali dichiarate della struttura, che ben possono essere andate al di là della sua già evidenziata utilizzazione a fini informativi...».


La richiesta di messa in stato di accusa
Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell'allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga.
Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli.
Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993. La Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal Tribunale dei ministri.
Cossiga scrisse: "il Partito comunista sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. (…) Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io, (…) fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica" (Francesco Cossiga, La versione di K, pag. 159).

Le dimissioni
Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile. Fino al 25 maggio, quando al Quirinale fu eletto Oscar Luigi Scalfaro, le funzioni presidenziali furono assolte, come previsto dalla Costituzione, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini.

Senatore a vita
Sfaldatasi la DC ed essendosi i suoi esponenti divisi fra i due poli di centrosinistra e centrodestra, Cossiga decise in un primo momento di ritirarsi dall'attività di partito e di svolgere soltanto l'attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'Unione Democratica per la Repubblica (UDR), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.
L'UDR raccolse l'adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico. Tra coloro che aderirono all'UDR ci furono anche Carlo Scognamiglio, Angelo Sanza e Pellegrino Capaldo.
Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, che venne battuto alla Camera per un voto, Cossiga fu determinante per la formazione del governo D'Alema I. Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa all'uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI. Massimo D'Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell'ex PCI. Per l'occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti. Nel frattempo il senatore Marcello Pera gli lanciava epiteti come discendente di barbaricini, briganti e rapitori, a cui Cossiga rispondeva ricordando le proprie origini familiari "contrariamente a chi ha un cognome di cosa, come si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota". L'UDR entrò anche a far parte del governo D'Alema nella persona di Carlo Scognamiglio, che fu nominato Ministro della Difesa.
Il 12 gennaio 1997 si trovava a bordo dell'ETR 460, treno 9415 Milano-Roma, che deragliò alle porte della stazione di Piacenza, provocando la morte di 8 persone e il ferimento di circa altre 30. Cossiga uscì illeso dall'incidente.


XIV Legislatura
Dopo un anno di vita, l'UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l'UDEUR. Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie.
Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato.
Nel 2004 fece alcune affermazioni (riprese nel 2007, quando vennero ribadite poi nell'autobiografia La versione di K) sulla strage di Bologna: in una lettera indirizzata a Enzo Fragalà, capogruppo di Alleanza Nazionale nella commissione Mitrokhin ipotizza un coinvolgimento del terrorismo palestinese, nella strage che lui stesso dichiarò "fascista", salvo poi cambiare idea nel 1990. Nel 2008 Cossiga ha reiterato questa affermazione in un'intervista al Corriere della Sera in cui ribadiva la sua convinzione secondo cui la strage non sarebbe da imputarsi al terrorismo nero, ma ad un "incidente" di gruppi della resistenza palestinese operanti in Italia.
Allo stesso tempo smentì più volte di avere sostenuto tesi complottiste sugli attentati dell'11 settembre 2001, voci diffuse soprattutto su internet, tesi che lui stesso riferì nuovamente qualche anno più tardi in un comunicato, in realtò di tono ironico, pubblicato dal Corriere della Sera, ma ripreso anche da organi di informazione internazionali.


XV Legislatura
Cossiga ha collaborato attivamente con diversi quotidiani, scrivendo anche sotto lo pseudonimo "Franco Mauri" per Libero e "Mauro Franchi" per Il Riformista. Alla fine del 2005 ha pubblicato sul quotidiano Libero una lettera nella quale ha annunciato di non volersi più occupare attivamente della politica italiana, ma non pare avervi dato pienamente seguito.
Il 15 maggio 2006 presenta in Senato il DDL Costituzionale n. 352, per la riforma delle istituzioni Sarde ed il riconoscimento della Nazione Sarda.
Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II.
Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi «ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale». Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio 2007: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12.
L'intera vicenda si è sviluppata in seguito a un'interpellanza parlamentare del mese di novembre 2006 nella quale il presidente emerito richiedeva al ministro dell'Interno Giuliano Amato di chiarire i motivi del pagamento di due giornalisti da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza, diretto dal prefetto Giovanni De Gennaro. Data la non immediata disponibilità a chiarire direttamente la vicenda da parte del ministro Amato, in aula venne letta una risposta scritta da De Gennaro. Non condividendo il comportamento tenuto dal Ministro, Cossiga ribatteva con una delle sue note picconate: «[Ha preferito rispondere] lo scagnozzo di quel losco figuro (tale Roberto Sgalla) del capo della Polizia che si chiama Gianni De Gennaro [...]». Nella stessa data, prima del voto di cui sopra, Francesco Cossiga ha presentato pubbliche scuse allo stesso De Gennaro.
Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l'esecutivo aveva posto la questione di fiducia.
Sempre nel 2007 è stato componente del comitato promotore del pensiero di Antonio Rosmini, in occasione della sua beatificazione avvenuta il 18 novembre 2007.
Lo stesso anno ha ottenuto dalla Sacra Rota la dichiarazione di nullità del suo matrimonio con Giuseppa Sigurani (durato 33 anni), e dalla quale aveva divorziato già nel 1998.
Ha anche rilasciato dichiarazioni sulla strage di Ustica, all'epoca della quale era presidente del Consiglio, attribuendo la responsabilità del disastro a un missile francese «a risonanza e non ad impatto» destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato il dittatore libico Gheddafi.
Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime inflitta in sede civile ai ministeri dei trasporti e della difesa dal Tribunale di Palermo, sentenza che ha riconosciuto le prove di quanto affermato dal Presidente Emerito.


XVI Legislatura
Nel 2008 Cossiga ha votato la fiducia al governo Berlusconi IV; in precedenza aveva votato la fiducia a Berlusconi un'altra volta, nel 1994 (governo Berlusconi I).
Il 23 ottobre 2008, in un'intervista al Quotidiano Nazionale, propone al Ministro dell'Interno Maroni la sua soluzione per contenere il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: evitare di chiamare in causa la polizia, ma screditare il movimento studentesco infiltrando agenti provocatori, e solo allora, dopo aver lasciato "che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi", "forti del consenso popolare [...] le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale". Nell'affermare ciò Cossiga sostiene che il terrorismo degli anni settanta era partito proprio dalle università, e conferma di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell'Interno. In seguito a questa intervista Alfio Nicotra, della direzione nazionale del PRC e responsabile del Dipartimento Pace e Movimenti del PRC ha chiesto di riaprire l'inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi, uccisa in circostanze non ancora chiarite durante una manifestazione nel 12 maggio 1977, periodo nel quale stesso Cossiga era ministro dell'Interno. Inoltre la senatrice Donatella Poretti (Radicale eletta nelle file del PD) ha deciso di depositare un disegno di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta sull'omicidio della Masi.

L'interesse per l'esoterismo e la massoneria
Negli ultimi anni della sua vita, Cossiga ha sviluppato una vera e propria passione e interesse per libri e argomenti trattanti la massoneria e l'esoterismo. È nota la sua amicizia con Armando Corona, ex Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1982 al 1990 e membro dell'UDR di Cossiga, oltre al fatto che la stessa famiglia di Cossiga vanta numerosi suoi membri iscritti alla Gran Loggia d'Italia, nel rito scozzese antico ed accettato, tra cui il nonno di Cossiga.
Nel corso degli anni, contemporaneamente al riemergere di libri trattanti stragi e fatti legati alla strategia della tensione in Italia degli anni '70, che hanno riguardato, molte volte lo stesso Cossiga, avendo ricoperto più le cariche di Sottosegretario all'Interno, poi Ministro dell'Interno e Presidente del Consiglio dei ministri[senza fonte], si è affermato talvolta che anche Cossiga si fosse affiliato alla Massoneria[50], addirittura, di essere iniziato al 33º grado del citato rito Scozzese.[senza fonte] Queste voci sono legate anche alle sue dichiarate fedeltà atlantiste e alla sua vicinanza con uomini degli apparati militari della NATO, ma sono sempre state smentite dallo stesso Cossiga, affermando di non poter «essere massone perché sono cattolico, e credo fermamente che le due condizioni siano incompatibili», anche se disse di conoscere moltissimi massoni e di aver tentato, tramite Licio Gelli, di intercedere presso il generale argentino Emilio Eduardo Massera per i desaparecidos italiani, con scarsi risultati.

Morte
Il tricolore a mezz'asta del Vittoriano nel giorno dei funerali di Francesco Cossiga
Francesco Cossiga venne ricoverato in rianimazione al Policlinico Gemelli di Roma il 9 agosto 2010 per gravi problemi respiratori. Muore il 17 agosto 2010 per insufficienza respiratoria causata da crisi cardio-circolatoria.
Prima di morire, allegate al testamento, Cossiga aveva incluso quattro missive, rese pubbliche e indirizzate ai vertici dello Stato (Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, Presidenti della Camera e del Senato: Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Renato Schifani). Tali lettere, datate 18 settembre 2007, erano state sigillate per essere consegnate solo dopo la sua morte. Delle personalità in carica all'epoca della scrittura, solo Giorgio Napolitano ricopriva ancora il proprio ruolo (gli altri erano: Romano Prodi, Franco Marini, Fausto Bertinotti).
I funerali si sono svolti nella sua città natale presso la Chiesa di San Giuseppe. Cossiga è sepolto nel cimitero comunale di Sassari, nella tomba di famiglia, poco distante dalla tomba di Antonio Segni.


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